L’8 giugno 1946 il guardasigilli Palmiro Togliatti presentò in Consiglio dei Ministri un provvedimento di condono delle pene, noto poi come Amnistia Togliatti. Lo scopo principiare della proposta era la pacificazione nazionale dopo gli anni della guerra. Inoltre si voleva far ripartire senza eccessivi tentennamenti le attività politiche, culturali e economiche inerenti la ricostruzione del paese a seguito del Referendum del 2 giugno. Il provvedimento, promulgato con decreto presidenziale 22 giugno 1946, n.4, riguardava i reati comuni e politici allora punibili fino a un massimo di 5 anni di carcere.
Non ne avrebbero beneficiato le persone “investite di elevata responsabilità di comando civile o militare ovvero che abbiano commesso atti di strage, sevizie particolarmente efferate, omicidi e saccheggi, ovvero che i delitti siano stati compiuti a scopo di lucro”. Il legislatore ha voluto con questa formula "negare giustamente i benefici dell’atto di clemenza a colore che abbiano assunto le maggiori responsabilità politiche o si siano macchiati nella sfera della collaborazione col tedesco invasore dei più odiosi delitti” come riporta La Stampa del 23 giugno 1946.
La reazioni al provvedimento Togliatti non si fecero attendere soprattutto da parte dell’associazionismo partigiano, particolarmente intense in Piemonte. Le cronache di quei giorni riportano quanto avvenne nella provincia di Cuneo, tra luglio e agosto 1946, quando degli ex partigiani si arroccarono per protesta nel paese di Santa Libera presso Santo Stefano Belbo.
A Casale Monferrato la popolazione annunciò uno sciopero di protesta per la revisione della sentenza di condanna a morte di sei fascisti. La città, presidiata dalle forze armate, tornò alla calma grazie alla mediazione del segretario della CGIL Giuseppe Di Vittorio.